La decisione Ue sulle auto condanna il biofuel. I dubbi di Nicolazzi - Formiche.net

2022-06-11 01:32:32 By : Mr. Leo Liu

L’esperto manager a Formiche.net: “Non solo così chiuderemo le raffinerie tradizionali, ma anche i tentativi di loro conversione a raffinerie bio: per cui la scelta elettrica fatta in questo modo radicale ammazza l’attività di raffinazione”

La decisione europea certifica il cobalto ma condanna il biofuel. Così a Formiche.net Massimo Nicolazzi, docente di Economia delle risorse energetiche presso l’Università di Torino ed ex manager di Lukoil ed Eni, autore de “L’elogio del petrolio” per Feltrinelli, che analizza a fondo la decisione dell’Ue di dire addio entro il 2035 a diesel e benzina, aprendo di fatto a uno scenario che vedrebbe il settore elettrico principale protagonista: con pro e contro “geopolitici”.

Lo stop europeo a diesel e benzina nel 2035 è sostenibile?

Di questo parleremo nel 2035, nel senso che sicuramente rappresenta un blocco delle nuove immatricolazioni. Vuole tendenzialmente dire, anche fine di rivalutare l’oggetto, che è un po’ difficile che se tu compri una macchina dopo il 2030 la comprerai benzina o diesel. No? Il valore residuo al 2035 è puramente un valore di rottamazione. Secondo me è un problema che ha fondamentalmente tre corni. Il primo tema è che la decisione europea santifica il cobalto ma condanna il biofuel.

Ovvero l’addio al biofuel rappresenta la fine della raffinazione in Europa?

Ci sta dicendo non solo che chiudiamo le raffinerie tradizionali, ma anche che chiudiamo i tentativi di loro conversione a raffinerie bio: per cui la scelta elettrica fatta in questo modo radicale ammazza l’attività di raffinazione. Il secondo tema è che non sono sicuro che si conserverà la filiera dell’occupazione nella produzione di automobili. Certo, per carità, magari sì. Però se io penso alla componentistica con motore a scoppio e motore a batteria, qualcosa cambierà. E non sono sicuro che il cambiamento non implichi anche la delocalizzazione della componentistica rispetto all’Italia e all’Europa.

In Europa stiamo progettando e concependo una serie di giga-factories…

Ma vediamo come verranno alla luce. Di certo tutta una parte di componentistica e di meccanica legata al motore a scoppio deve trovarsi un altro mestiere. E vediamo se le Gigafactory saranno computazionalmente sufficienti ad assorbirla e soprattutto se e come partiranno. Terzo tema: dove le caricheremo queste auto elettriche? La sufficienza dell’investimento in punti di ricarica e di resilienza della rete è ancora in divenire. Ecco, queste sono le mie cautele, ovvero: la fine dell’attività di raffinazione, l’insicurezza circa la capacità, il mantenimento della localizzazione, l’indotto, la rete di distribuzione.

Perché non si parla più del gas per le auto? Questo elemento, che non è più primario nel dibattito, ed è legato ai tentennamenti sul gasdotto Eastmed e alla crisi russa, sembra passato di moda?

Non è mai stato una quota importante di mercato. C’è anche qualche problema di ingombro e d’uso per cui alla fine se si pensa a quanto inquina un euro sei, non è che andando a gas ti cambia molto la vita. Il gas ad oggi è un tema di traffico pesante, non è un tema di circolazione di automobili per uso civile. Il tema è capire se il traffico pesante lo facciamo andare a gas naturale liquefatto oppure no. Fino a due anni fa sembrava che il gas naturale liquefatto fosse il sostituto del diesel e quindi la nostra salvezza. Adesso qualcuno si è accorto che anche il gas naturale liquefatto è un idrocarburo e dunque puzza: quindi è partita la crociata dell’idrogeno. Con questi segnali proviamo a metterci nei panni di un autotrasportatore che deve decidere che camion comprare.

Esiste il rischio che l’Ue si sia infilata il cappio della dipendenza tecnologica cinese?

Il quadro da cui partire è il seguente: i fossili comunque non li dobbiamo bruciare e dobbiamo dedicarci a politiche e investimenti che ci rendano meno dipendenti dalla Cina. Detto questo, qui c’è una partita che non ti aspetti. Nel senso che probabilmente più che alla dipendenza tecnologica dobbiamo riflettere sulla dipendenza minerale: mi riferisco a litio, cobalto, terre rare e dintorni. Il dato di fatto è che la Cina su questo punto ha un po’ conquistato il mondo rispetto alle risorse oggi producibili. La predominanza cinese però non si contrasta tenendoci stretti i fossili; ma investendo gli stessi e nella produzione di nuovi minerali, sviluppando nuove tecnologie di loro uso e produzione e infine accelerando il loro riciclo a termine vita della batteria: per cui ci tocca scavare, fare tecnologia e riciclare.

Perché gli altri sono rimasti fermi e non hanno investito?

Lì per il futuro ci sono una serie di incognite. Incognita numero uno è se ci saranno investimenti alternativi che, se ci saranno, dovranno essere incentivati. È questa una tematica strategica, nel senso che non è economica al momento. Gli Stati Uniti nel 2017 si sono ripresi una miniera di una società fallita, che tendenzialmente gli fa produrre in casa quasi il 16% della produzione mondiale di terre rare. Per fare un altro esempio c’è una società australiana che con la sua produzione sta dimezzando la dipendenza giapponese dalla Cina. Gli ultimi anni ci hanno detto che è ancora possibile investire. Poi investire ha tra gli altri un problema di localizzazione. Le terre rare non si chiamano così perché sono rare in assoluto, ma perché sono in bassa concentrazione dentro la roccia che le contiene. L’attività mineraria relativa all’estrazione dei minerali necessari alle nuove tecnologie può essere ecologicamente devastante.

L’interesse primario della Cina, e adesso anche del resto del mondo, è non a caso nei confronti dell’Africa, che già è leader nella produzione di cobalto. Uno dei motivi di questo interesse è forse, e purtroppo, che l’Africa è oggi percepita come l’unico continente che si può ancora devastare ecologicamente per fare attività mineraria. Poi ci sono attività altrove. C’è persino una società australiana che ha un permesso di ricerca per cobalto e altri minerali in una valle adiacente la Val di Susa. Hanno detto che i risultati sono molto promettenti, ma quando se ne accorgono i No Tav voglio vedere cosa succede.

Un complesso tema del divenire può riguardare gli sviluppi, ad esempio, di litio e geotermia?

Siano al tema tecnologia, che potrebbe comportare risultati in termini di modalità di produzione dei minerali necessari alle batterie o di progettazione delle batterie stesse. Honda sta studiando, o forse ha già messo in sperimentazione, una batteria che non include terre rare tra i suoi componenti. Quest’anno in Alsazia c’è stata la prima sperimentazione europea di produzione di litio da brina geotermica. Le altre novità del futuro sono semplicemente imprevedibili.

Quali le prospettive per l’Ue?

Sicuramente fare produzione in Europa non può prescindere dall’investire nell’attività di riciclo dei minerali dalle batterie esauste. Perché il riciclo diventi quasi autosufficiente dobbiamo generale e poi alimentare una massa critica di batterie esauste. Prima di arrivare a quello, da qui al 2030 dovremmo avere disponibile 18 volte il volume di litio che stiamo usando adesso e cinque volte quelle di cobalto. E c’è anche un tema di volatilità dei prezzi. Il litio è salito alle stelle e recentemente anche il nichel. Causa nichel hanno chiuso uno stock exchange perché era cresciuto del 250% in due giorni. Diciamo che dopo il 2030 il riciclo potrebbe cominciare ad avere un ruolo molto importante e potremmo avere disponibile del cobalto riciclato e non del cobalto prodotto da lavoro minorile in Congo.

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