Treviso, vincono la Green card alla lotteria e si trasferiscono in America: «Gli infermieri? Pagati a peso d’oro» - CorrieredelVeneto.it

2022-05-06 19:39:54 By : Ms. Amanda Gao

Da sinistra Michele, Luca, Serenella e Giulia Favaro

Il sogno americano si è avverato per i Favaro, una famiglia trevigiana originaria di Breda di Piave composta da mamma Serenella, papà Luca e i figli Giulia e Michele. Per matrimonio, asilo politico, talento o fortuna ogni anno in migliaia di stranieri conquistano la residenza permanente nel Paese a stelle e strisce. E questa volta il merito va alla dea bendata che ha permesso alla famiglia trevigiana di trasferirsi in California dopo essersi aggiudicata la carta verde, l’agognato biglietto d’ingresso negli Stati Uniti. La lotteria annuale «Green Card», istituita nel 1990 ma entrata in vigore cinque anni dopo, è un programma del governo americano che mette a disposizione ogni anno in autunno migliaia di permessi di residenza per un periodo illimitato, con estrazione a sorte nell’aprile successivo. L’obiettivo dell’operazione è quello di diversificare l’origine etnica della popolazione americana. Donald Trump aveva provato a bloccare il sistema, ma invano.

Com’è nata l’idea di partecipare alla lotteria, Luca Favaro? «Tutto è nato dall’amicizia con un attore americano che viveva nella zona di Los Angeles. Nel 2012 siamo andati a trovarlo e ci siamo innamorati della zona a tal punto da tornarci anche gli anni successivi. Venire in vacanza qui era diventato un appuntamento fisso. Abbiamo pensato che ci sarebbe piaciuto viverci, ma eravamo ben consapevoli delle difficoltà quasi insuperabili legate all’entrare in America come immigrati. Navigando in rete ho scoperto la lotteria e abbiamo deciso di iscriverci nel 2016, senza grosse aspettative per la verità, vista l’affluenza».

Invece la fortuna ha esaudito il vostro desiderio. Quando ha saputo di avere vinto la Green Card qual è stata la prima cosa a cui ha pensato? «Con mia moglie Serenella ci siamo guardati e ci siamo detti: “E adesso?”. Eravamo consapevoli che essere stati estratti alla lotteria non significava avere in automatico la Green Card. C’era un lunghissimo e impegnativo iter da seguire che nel complesso è durato quasi due anni. Anche se la prima selezione viene attuata casualmente da un computer, bisogna fronteggiare una vera e propria commissione. È un processo che richiede impegno e costanza. La maggior parte degli estratti viene scartata durante il processo e come se non bastasse bisogna presentare una marea di documenti. Si è oggetto di una vera e propria indagine, si partecipa ai famosi due giorni al Consolato americano di Napoli in cui ci si sottopone a diverse visite mediche ed esami. Il tutto culmina con il colloquio col console americano che decide in quel momento se darti la Green Card o meno. Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti, “Seguiamo il procedimento passo per passo e dove arriveremo, arriveremo”».

E oggi siete là. Le mancano l’Italia e il Veneto? «Mi sento un po’ in colpa ad ammetterlo ma no, non mi mancano. Mi mancano gli amici, gli affetti ma nient’altro».

Com’è che avete optato per la California? «Anche se il seguire l’iter per avere la Green Card ci aveva portati a passare un paio di settimane a Boston, città che ci è piaciuta tantissimo, abbiamo scelto l’area di Los Angeles perché la conoscevamo già. Abbiamo pensato che col supporto dei nostri amici, le cose sarebbero state più semplici, come poi è stato».

Come si vive in America? «Non è facile rispondere a questa domanda. L’America è un Paese enorme e molto complesso, pieno di contraddizioni, formato da Stati molto diversi tra loro sotto tutti i punti di vista. Ci sono enormi differenze anche all’interno di uno stesso stato. Noi viviamo a Thousand Oaks, una cittadina in mezzo alle Montagne di Santa Monica nella contea di Ventura, a circa un’ora da Los Angeles. È un luogo immerso nel verde, tranquillo come la gente che lo vive. In venti minuti di auto si raggiungono Santa Monica, Ventura e Malibù. Lo stile di vita che conduciamo è molto semplice e molto meno frenetico di quello che vivevamo in Italia. Siamo nel Far West e a volte si ha la sensazione di trovarsi nel set di un film western».

Qual è stata la cosa più difficile? «All’inizio sicuramente la lingua. Adesso ormai ce la caviamo bene, ma nei primi sei mesi c’era da piangere».

A distanza di tempo riparteciperebbe alla lotteria? «Non so se ce la farei a rifare tutto l’iter. Però siamo contenti di essere qui adesso, quindi direi di sì».

Cosa fate adesso? «Sia io che mia moglie lavoriamo in una casa di riposo come Med Tech, una figura di supporto infermieristica che si occupa della somministrazione della terapia orale e della rilevazione dei parametri vitali. Non abbiamo ancora affrontato l’iter per ottenere la licenza per potere lavorare come infermieri. Lo faremo presto. Gli infermieri qui, a differenza dell’Italia, sono pagati a peso d’oro. Ho cominciato anche a studiare per ottenere la licenza come agente immobiliare. Nostro figlio Michele si è diplomato e adesso frequenta il College oltre a lavorare come cameriere. Nostra figlia Giulia invece si è laureata e vive col suo fidanzato. Piano piano ci stiamo creando nuove amicizie».

È diventato anche scrittore. È sempre stata una sua passione scrivere? «La mia grande passione è sempre stata leggere. Questo mi ha portato a scrivere e pubblicare. In Italia ho pubblicato tre raccolte di racconti, un romanzo (”Il tempo senza ore”) che ha riscosso un certo successo e ha vinto diversi premi letterari (primo Premio Prunola oggi Giorgione nel 2017) e recentemente un libro di poesie intitolato “Cinquanta Passi All’indietro” (edizioni Nulla Die)»

Progetti futuri? «Nel 2023 saranno cinque anni che possediamo la Green Card e questo ci consentirà di richiedere la cittadinanza americana. Vogliamo mantenere ancora la cittadinanza italiana. Altro progetto è quello di scrivere un romanzo in inglese e ci sto lavorando».

Come vedete l’Italia da lì? «Pur essendo un Paese molto amato dagli americani, non se ne parla molto qui».

Qual è il suo motto? «”Tutto posso in Colui che mi da forza”, sono una persona tendenzialmente religiosa».

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