Ucraina: la guerra russa per il gas e le materie prime

2022-04-26 08:23:10 By : Ms. Lynn Huang

Quali sono le ragioni dell’invasione russa in Ucraina? Si è parlato molto di allargamento ad Est da parte della Nato e di tutela delle Repubbliche separatiste del Donbass ma, ad una analisi più attenta, le motivazioni dell’invasione russa all’Ucraina appaiono molto più concrete: una guerra per il gas, il petrolio e le materie prime di cui l’Ucraina abbonda. Una guerra dell’energia. Del resto il ‘900 è stato segnato da tante tensioni, conflitti e colpi di stato per garantirsi fonti energetiche.

Due sono state le “guerre dell’energia” definibili più esplicitamente come tali: una lunghissima che si svolse nel cuore dell’Europa tra Francia e Germania fin dall’800 per il possesso del carbone della Saar e della Ruhr e si protrasse fino a dopo la II guerra mondiale, e poi alla fine del secolo una guerra dichiaratamente generata per il petrolio, ossia l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990 e la conseguente guerra del Golfo del 1991.

Putin pone l’intera questione sul piano della sicurezza della Russia, a suo dire minacciata dalla vicinanza della Nato, ma il sospetto che dietro l’invasione dell’Ucraina ci siano questioni energetiche è più che fondato.

Mentre si moltiplicano i commenti sulla irrazionalità del comportamento di Putin, può aiutare riflettere su quali siano gli interessi nel complesso gioco dell’accesso alle fonti energetiche. Nella guerra delle condutture del gas negli ultimi vent’anni, è stata costante la contrapposizione tra gli interessi russi nel controllare le vie dell’esportazione di energia (e di conseguenza anche i prezzi), e quelle occidentali che cercano accessi diretti bypassando i territori russi o sotto la loro influenza.

Cecenia e Daghestan erano e sono zone di passaggio di oleodotti e gasdotti, così come lo è l’Ucraina. Ciò corrobora la tesi secondo cui la guerra attuale altro non è che un mezzo per proteggere le vie di esportazione dell’energia russa. Ieri come oggi, Putin dimostra di non tollerare la perdita di controllo in quei territori di frontiera e di voler mantenere il monopolio delle vie di esportazione del gas.

Non dimentichiamoci inoltre che l’annessione russa della Crimea del 2014  aveva già avuto un importante risvolto energetico: l’Ucraina è infatti stata privata dell’80% dei suoi impianti di estrazione di petrolio e gas naturale nel Mar Nero. La Russia si è infatti garantita la maggior parte delle riserve di gas ucraino in mare aperto. Inoltre l’intervento nel Donbass ha messo una seria ipoteca sui giacimenti di gas nel Donesk. Episodi che fanno ben intendere che dietro ragioni di “ricostruire l’impero russo” sussistessero motivazioni economiche da parte della Russia.

C’è poi un altro aspetto da non ignorare: Kiev prima dell’inizio degli scontri stava per diventare uno dei maggiori fornitori di litio per le fabbriche europee di batterie e auto[1], sbandierando una riserva stimata di 500.000 tonnellate di litio, cruciale per la transizione all’elettrico dell’Unione. Il litio, componente fondamentale delle batterie per auto elettriche, allo stato attuale è quasi esclusivamente estratto da miniere in Asia, Australia e Sud America, rendendo le nuove aspirazioni industriali europee fortemente dipendenti da questi Stati. Tutto questo potrebbe però cambiare, grazie a due nuovi giacimenti in Ucraina. Proprio il governo di Zelensky aveva firmato un’alleanza strategica per fornire il prezioso materiale alla Ue il 13 luglio scorso.

Tra le richieste che Putin muove all’Ucraina e a tutta la comunità internazionale c’è il riconoscimento del Donbass e della Crimea come territorio russo.

La Crimea è stata annessa unilateralmente a sé da Mosca nel 2014, mentre nel Donbass sono nate le repubbliche separatiste e filorusse di Donetsk e Lugansk, al momento occupate dalle truppe di Mosca.

Fin dalla sua comparsa come stato indipendente in seguito alla dissoluzione dell’URSS nel 1991, la vita politica ucraina è stata segnata dalla sua posizione intermedia tra Unione Europea e Russia, e da divisioni regionali, in particolare tra la parte occidentale e quella orientale, in cui un’alta percentuale della popolazione (secondo l’ultimo censo condotto nel 2001, oltre il 50% in Crimea e Donbass) si identifica nativa di lingua russa. Dopo tumultuosi mesi di dibattiti politici e proteste popolari nel 2013, il 2014 è stato l’anno della svolta, con l’annessione da parte della Russia della penisola ucraina della Crimea. Nello stesso anno, una linea di conflitto si è aperta nella regione orientale del Donbass, che ha visto i separatisti filorussi sostenuti da truppe russe senza insegna scontrarsi con l’esercito regolare. I separatisti hanno preso il controllo di parti del territorio, dichiarandole indipendenti con il nome di Repubblica Popolare di Lugansk e Repubblica Popolare di Donetsk. La dichiarazione di Putin del 21 febbraio ha aperto dunque il terreno ad un’invasione esplicita da parte della Russia nelle province contese, giustificata ufficialmente con ragioni di “peacekeeping”.

Fino al 2014, la Crimea e la parte occupata del Donbass assieme costituivano il 14 per cento del PIL ucraino. L’annessione russa della Crimea aveva già portato ad un importante risvolto energetico per la Russia. L’Ucraina è stata privata dell’80% dei suoi impianti di estrazione (18 giacimenti di gas nel Mar Nero, il costo approssimativo dei quali è stimato essere 40 miliardi di dollari, basandosi sui prezzi del 2014).

Nel 2012 l’Ucraina aveva organizzato un consorzio (ExxonMobil, Royal Dutch Shell, la rumena OMV Petrom e l’ucraina Nadra Ukrainy) per lo sfruttamento del giacimento di gas nel Mar Nero. Nel 2013 Kiev aveva chiuso un accordo con l’Eni e la francese EDF per le ricerche di petrolio e gas nel Mar Nero Occidentale. A causa dei conflitti tutto ciò non ha raggiunto nessun obiettivo prefissato.

Il controllo del Mar Nero diventerà quindi un elemento centrale anche per il possesso dei giacimenti nelle relative acque e zone limitrofe.

L’etimologia del nome Donbass è: bacino del carbone del Donetsk. L’area è stata uno degli epicentri minerari del mondo, con centinaia di estrazioni attive e inattive, una catastrofe ecologica in slow motion, in grado di contaminare acqua e suolo, sulla quale la guerra ha riacceso i riflettori e che rischia di avvelenare ancora di più. Secondo un report della Banca mondiale, in Donbass ci sono 900 siti industriali, 40 fabbriche metallurgiche, 177 siti chimici ad alto rischio, 113 siti che usano materiali radioattivi, 248 miniere, 1.230 chilometri di tubature che trasportano gas, petrolio e ammoniaca, 10 miliardi di tonnellate di rifiuti industriali. Una polveriera che gli otto anni di conflitto, e questa invasione russa, rischiano di far detonare.

In duecento anni di storia, nel Donbass sono state estratte 15 miliardi di tonnellate di fonti fossili di energia, principalmente carbone. Per il Cremlino dunque il Donbass attira anche uno spiccato interesse economico, proprio perché è un territorio ricco di carbone. Perdere il controllo di questa zona vorrebbe dire per Mosca consegnare all’Europa i giacimenti di carbone, togliendo così una risorsa mineraria chiave per l’affermazione della potenza economica russa.

All’inizio del 2013 la Royal Dutch Shell aveva firmato un accordo con l’Ucraina per trivellare (per 50 anni) nel giacimento di scisto nel Donetsk.

Mentre sempre nel Novembre 2013 la compagnia Chevron aveva firmato un accordo (sempre per 50 anni) con Kiev per estrarre petrolio e gas naturale ad ovest nell’area di Olesska. Questi accordi avrebbero sicuramente ridotto le esigenze di importazione dall’esterno (il piano dell’allora a governo Janukovyc prevedeva di porre fine a qualsiasi importazione di gas russo entro il 2020 e di cominciare ad esportare le risorse energetiche dal 2020), però, a causa del primo conflitto, sia Shell che Chevron hanno interrotto ogni piano di estrazione.

I giacimenti ucraini di gas naturale e di shale gas sono potenzialmente molto rilevanti: i geologi stimano oltre 1,1 trilioni di metri cubi di riserve naturali. Solo nell’area del Donesk i giacimenti – stimati durante la firma dei contratti sopra citati- conterrebbero fino a 113 miliardi di metri cubi di gas. Una quantità solo di poco inferiore alle riserve totali dell’Algeria.

In pratica l’Ucraina detiene oggi le maggiori riserve di gas conosciute nel centro dell’Europa, solo inferiori alla Russia (che però le possiede nella sua parte asiatica) e poco inferiori alla Norvegia. Riserve in grande parte però non sfruttate anche per la necessità di grandi investimenti.

Escludendo le riserve di gas della Russia in Asia, l’Ucraina detiene oggi le seconde riserve di gas conosciute in Europa. Alla fine del 2019, le riserve ucraine conosciute ammontavano a 1,09 trilioni di metri cubi di gas naturale, seconde solo alle risorse conosciute della Norvegia di 1,53 trilioni di metri cubi. Tuttavia, queste enormi riserve di energia rimangono in gran parte non sfruttate. Oggi, l’Ucraina ha un basso tasso di utilizzo della riserva annuale di circa il 2%. Inoltre, un’esplorazione più attiva potrebbe produrre giacimenti di gas precedentemente sconosciuti.

Il suolo nero tipico dell’Ucraina è molto fertile, produce cereali, patate, barbabietola da zucchero e frutta. Oggi l’Ucraina è il maggior esportatore al mondo di olio di girasole.

Partiamo dalla bandiera dell’Ucraina, un’abbinata di azzurro e di giallo. I colori del cielo e del grano. Quel grano che fa dell’Ucraina un grande Paese agricolo che occupa l’ottavo posto mondiale nelle esportazioni di frumento (venduto anche all’Italia attraverso le navi “in bulk” che sono partite fino a pochi giorni fa dal porto di Odessa).

Scura come pece e tanto fertile da poter sfamare il mondo. Così è definita la terra in Ucraina: milioni di ettari intrisi di humus e battezzati con il nome di cernozëm (terra nera, appunto). Una ricchezza unica nel suo genere – che secondo alcuni studi potrebbe dar da mangiare a circa 300 milioni di persone, circa 7 volte gli abitanti ucraini – ma la cui sorte è ora in balia dei venti di guerra.

È prima in Europa per terreni seminativi nelle sue grandi pianure e terza al mondo per superficie di suolo nero (25% del volume mondiale), cioè particolarmente ricco di carbonio organico e, quindi, molto fertile. E non si tratta dell’unica cifra da primato. L’Ucraina si colloca al primo posto al mondo nelle esportazioni di girasole e olio di girasole; medaglia d’argento nella produzione di orzo, con il quarto posto nell’export di questo cereale. E non basta.

Per il mais, Kiev è il terzo produttore al mondo e il quarto esportatore, oltre a essere il quarto produttore mondiale di patate e il quinto di segale.

L’Ucraina è produttrice di petrolio, gas naturale e gas di scisto (shale gas). Tuttavia la produzione interna non soddisfa nemmeno la domanda del Paese. I principali giacimenti di idrocarburi dell’ucraina sono concentrati nelle seguenti regioni: Dnipro-Donesk ad est; Carpazi a ovest e Mar Nero/Azov a sud. Nella pagina seguente mettiamo a confronto la cartina geografica dei principali giacimenti energetici (cartina 1) e quella delle attuali aree di scontro militare (cartina 2.)

Come possiamo vedere si riscontra l’interessante coincidenza fra la posizione dei principali giacimenti energetici e quella delle attuali aree di scontro militare

Le riserve di litio che fanno gola a Russia e Cina

In un recente articolo sulla Verità si affrontano anche altre ipotesi che rafforzano le ragioni “energetiche” del conflitto[2]. Kiev prima dell’inizio degli scontri stava per diventare uno dei maggiori fornitori di litio a «portata di treno» dalle fabbriche europee di batterie e auto, sbandierando una riserva stimata di 500.000 tonnellate di litio, cruciale per la transizione all’elettrico dell’Unione. Proprio il governo di Zelensky aveva firmato un’alleanza strategica per fornire il prezioso materiale alla Ue il 13 luglio scorso.

Le firme sul documento erano quelle del vicepresidente Maro efovi e del primo ministro Denys Shmyhal, d’accordo nel rafforzare la cooperazione tra Bruxelles e Kiev nei settori del Green Deal e della strategia industriale 2020-2050.

Un accordo simile sarebbe stato possibile anche tra Ue e Russia, ma nella corsa globale all’elettrificazione Mosca credeva meno di quanto facciano i più scettici europei, seppure la società energetica e nucleare statale Rosatom prevedesse di poter raggiungere una produzione nazionale di litio equivalente al 3,5% della produzione mondiale entro il 2025. Per farlo, tuttavia, sarebbe stata costretta a rivedere le concessioni fatte ai cinesi per sfruttare i giacimenti della Siberia e della Yakutia, acquisire la gestione di attività minerarie di litio in Africa e America Latina e soprattutto ad aggiornare la tecnologia estrattiva e delle semilavorazioni associate a questa attività.

A onor del vero, a partire dall’ottobre 2019 Rosatom aveva cominciato a produrre litio per batterie presso gli stabilimenti di Novosibirsk, il cui prodotto principale però è il combustibile per le centrali nucleari. Lo fece dopo che nel 2017 annunciò un investimento pari a 15,6 milioni di dollari per avviare la produzione di batterie, un progetto sul cui effettivo stato si sa poco, soprattutto oggi che gli accordi stipulati dalla società controllata da Rosatom, la Uranium One Group (U1g), con i potenziali clienti sono stati bloccati prima dal Covid e poi dalle sanzioni. Tra questi pre-contratti, quello per il gruppo canadese Wealth Minerals, nel quale si delineava l’acquisizione da parte russa di una partecipazione di maggioranza nel progetto per il litio «Atacama» della Wealth Mineral, in Cile. Dove però il governo locale, solleticato dal prezzo stellare che ha raggiunto il prezioso minerale, sta ripensando la politica nazionale che regola la produzione e il commercio del litio.

I timori delle possibili interruzioni delle forniture russe di metalli come alluminio, rame e stagno ne hanno infatti fatto alzare i costi ai massimi storici dall’inizio di febbraio, innescando un fenomeno che si è sovrapposto agli effetti della transizione verso la mobilità elettrica. Ma nessun metallo è aumentato come il litio, che ha quasi quintuplicato il valore in un anno arrivando alla media di 76.700 dollari la tonnellata, con un aumento del 10% in sole due settimane e del 95% da gennaio 2022. Soltanto un anno fa veniva scambiato a 13.400 dollari la tonnellata.

Forte di tali risorse, nel 2021 Kiev aveva iniziato a mettere all’asta i permessi di esplorazione per sviluppare le sue riserve di litio oltre a rame, cobalto e nichel, e a questo proposito ricordiamo le parole di Roman Opimakh, capo dei geologi ucraini, che nel maggio di quell’anno commentava: «Questi accordi hanno un’importanza strategica per l’affermazione del nostro Paese sulla scena mondiale in un nuovo ruolo».

A seguito delle trattative, nel novembre 2021 la European Lithium, una società che a dispetto del nome è di proprietà australiana (quotata nelle borse di Sydney e Francoforte, rappresentata in Europa dall’austriaca Ecm Lithium At GmbH), aveva dichiarato l’ormai prossima chiusura di un accordo per assicurarsi i diritti su due promettenti giacimenti di litio scoperti negli anni Ottanta e Novanta. Uno si trova a Shevchenkivske, nel Donetsk, l’altro a Dobra, nell’Ucraina occidentale.

Alla luce delle moderne tecnologie di esplorazione entrambi i siti sarebbero stati sottovalutati e conterrebbero ampie risorse. La società australiana, che finora si è fatta un nome in Europa perché proprietaria di un progetto di estrazione di litio a Wolfsberg, in Carinzia, in territorio ucraino è rappresentata dalla Petro Consulting llc Millstone.

Questa ha una partecipazione nei due progetti minerari, quello austriaco e quello nazionale. Ebbene: European Lithium ha dichiarato che l’acquisizione delle miniere ucraine sarà graduale e dovrebbe concludersi, guerra permettendo, nel novembre prossimo a scapito della cinese Chengxin Lithium, che aveva chiesto gli stessi diritti e che per ottenerli avrebbe già investito molto denaro in altri settori con accordi di scambio con Kiev.

Investimenti che la guerra, se persa, vedrebbe a rischio o azzerati. Sarà un caso, l’invasione russa è cominciata proprio mentre l’Ucraina stava cercando di posizionarsi sul mercato come uno dei principali attori nella transizione verso l’energia pulita, cominciando un’evoluzione rapida soprattutto per una nazione che ha costruito a lungo la sua economia su carbone, ferro e titanio.

È quindi chiaro che se ci fosse la pace oggi Kiev sarebbe tra i cinque Paesi maggiori fornitori di litio al mondo insieme con Cina, Australia, Cile e Congo. Non possiamo considerarla la ragione principale dell’invasione russa, tuttavia è ovvio che Mosca ambisca alle caratteristiche minerarie del sottosuolo come alla produzione agricola e alla posizione strategica di questa nazione.

Putin pone la questione del conflitto sul piano della sicurezza della Russia a suo dire minacciata dalla vicinanza della NATO, ma il sospetto che dietro l’invasione dell’Ucraina ci siano questioni energetiche è più che fondato.

Mentre si moltiplicano i commenti sulla irrazionalità del comportamento di Putin, può aiutare riflettere su quali siano gli interessi nel complesso gioco dell’accesso alle fonti energetiche.

Occorre chiarire che l’economia russa si basa principalmente sull’estrazione e sull’esportazione di risorse naturali. Ma la Russia era ed è tuttora parzialmente dipendente dal sistema di trasporto del gas ucraino (GTS) e non è stata mai in grado di assumere il pieno controllo delle sue relazioni energetiche con l’UE[3].

Basti pensare che sino al 2006 i due terzi di tutti i ricavi di Gazprom (multinazionale russa, controllata dal Governo della Federazione Russa, attiva nel settore dell’estrazione e vendita di gas naturale) provenivano dalle vendite di gas che attraversa l’Ucraina, attraversamento che ancora oggi genera tasse di passaggio (transit fee) per il 4 per cento del Pil ucraino.

Dal 2004, considerazioni geopolitiche piuttosto che esigenze economiche hanno motivato Mosca a costruire nuovi gasdotti specificamente progettati per aggirare l’Ucraina, e quindi per ottenere una mano più libera nei suoi rapporti con l’Occidente. Il progetto del primo gasdotto Nord Stream è nato nel 1997 per trasportare il gas naturale russo dalla Russia alla Germania (sotto il mar Baltico) senza attraversare né i Paesi Baltici né quelli del Gruppo di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria), la Bielorussia e l’Ucraina, nazioni che vengono così escluse da eventuali diritti di transito e che non possono così intervenire sul percorso per sospendere la fornitura di gas all’Europa e mettere pressione negoziale alla Russia[4].

Il completamento del primo gasdotto Nord Stream dalla Russia attraverso il Mar Baltico alla Germania alla fine del 2012 ha ridotto il ruolo del GTS ucraino per le esportazioni di energia russe nell’UE ed ha fornito una precondizione necessaria per l’annessione della Crimea da parte della Russia[5]

Sempre in questa ottica il Nord Stream 2 è stato completato il 6 settembre 2021 ed è sempre un gasdotto che trasporta il gas naturale dai giacimenti russi alla costa tedesca, si estende per 1230 km sotto il Mar Baltico ed è il più lungo gasdotto del mondo.  Il colosso russo del gas Gazprom ha da tempo messo le mani avanti, sostenendo di aver ideato questo nuovo gasdotto per essere in grado di soddisfare il fabbisogno di gas europeo a prezzi accessibili integrando le pipeline esistenti che passano in Ucraina e Bielorussia. Mosca ha anche sostenuto che il Nord Stream 2 offre una valida alternativa ai gasdotti esistenti che necessitano di notevoli investimenti per rimanere concorrenziali. L’infrastruttura è costata 11 miliardi di dollari ed è interamente di proprietà della compagnia energetica russa Gazprom, a maggioranza statale. La società possiede anche il 51% del gasdotto originale Nord Stream.

Prima della costruzione dei due gasdotti Nord Stream il gas russo passava esclusivamente via terra, attraverso i territori di Ucraina e Bielorussia.

Le precedenti rotte dei gasdotti (in rosso, nella figura) passavano per Polonia, Bielorussia e Ucraina. I 3 stati aggiungono una tassa di passaggio che, nel solo caso dell’Ucraina, corrisponde a circa 1,2 miliardi di dollari all’anno. Per uno stato dove lo stipendio medio si aggira sui 400 dollari, un’entrata molto importante per le casse statali e le tasche dei politici nazionali. È plausibile, una volta reso attivo il NS2, che il gas di passaggio da Polonia e Ucraina andrebbe drasticamente a calare, riducendo o azzerando le entrate fiscali di Ucraina e Polonia. Motivo per cui l’Ucraina da anni spende milioni per convincere i politici americani del rischio che il Nord Stream 2 rappresenta per gli europei.

Abbiamo trovato un articolo molto interessante nella rivista americana “Harvard International Review” datato agosto 2021, dove riportiamo testualmente parte del testo tradotto, che oggi risuonano come una vera e propria profezia:

Oggi, l’eventuale completamento del Nord Stream 2 attraverso il Mar Baltico sembra sempre più probabile. Se questo gasdotto dovesse entrare in funzione, il GTS ucraino diventerebbe in gran parte superfluo

Se il GTS ucraino fallisse, ciò avrebbe implicazioni di vasta portata nelle relazioni dell’Ucraina con la Russia e problemi di sicurezza europea più grandi. Molti in Ucraina temono che l’eliminazione della Russia e la dipendenza dell’UE dal transito del gas ucraino consentiranno al Cremlino di provocare ulteriore instabilità in Ucraina. Il Cremlino si sentirebbe più a suo agio nell’intensificare la sua guerra ibrida con l’Ucraina una volta che la Russia non dipenderà più dal trasporto di gas ucraino. Ciò potrebbe degenerare in una guerra interstatale su vasta scala e aperta (e non solo segreta, per procura e paramilitare) contro il suo vicino slavo.

Sebbene i sostenitori del gasdotto, tra cui la Germania, lo vedano come un ottimo affare che fornisce energia più economica e più pulita, Nord Stream 2 ha attirato l’ira di molti oppositori. La sua caratteristica principale, quella che poco piace agli americani, è di bypassare completamente gli Stati baltici, quelli di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria), l’Ucraina e la Bielorussia, spazzando così via qualsiasi eventuale pretesa da parte di questi Paesi di fare pressione nel tavolo di negoziazione con Mosca.

Gli Stati Uniti si sono a lungo opposti alla messa in opera del progetto, soprattutto attraverso meccanismi sanzionatori. Da parte sua, Washington ha sempre temuto che, una volta concluso il gasdotto, il blocco europeo sarebbe diventato fortemente dipendente dalla Russia dal punto di vista energetico.

I leader e i legislatori statunitensi, sia democratici che repubblicani, temono che il gasdotto baltico darebbe alla Russia troppo potere sulle forniture di gas europee, consegnando al presidente russo Vladimir Putin un mercato e un potere geopolitico troppo ampio. Anche il presidente Trump, durante il suo mandato, ha tentato senza successo di silurare il progetto, sostenendo che Nord Stream 2 avrebbe reso la Germania “prigioniera della Russia”, timori sostanzialmente condivisi anche dal presidente Biden.

Un altro fattore che spiega i numerosi tentativi USA di interrompere il progetto è il Gas Naturale Liquefatto (GNL). Washington sperava di poter penetrare nel mercato europeo con il proprio GNL, sostituendo così il gas di Mosca. Tuttavia, nonostante il GNL possa essere meno inquinante rispetto al normale gas, il prezzo non è tanto competitivo quanto quello del gas russo. Pertanto, gli USA non sono riusciti a prendere il posto della Federazione.

Come abbiamo visto nell’articolo citato dell’“Harvard International Review” anche l’Ucraina è sempre stata contraria al Nord Stream 2, e non solo per questioni economiche (il transito del gas russo attraverso il Paese frutta all’Ucraina tre miliardi di dollari all’anno).

Nel luglio dello scorso anno il Ministro degli affari esteri dell’Ucraina Dmytro Kuleba in un’intervista alla “Radio NV” sosteneva: “Se il Nord Stream 2 sarà completato, minerà la sicurezza nazionale dell’Ucraina, in quanto il sistema del trasporto del gas aiuta a contenere dall’aggressione della Russia[6]”

“Esonerato dalla necessità di preservare e tutelare il sistema del trasporto del gas in Ucraina, il presidente Putin sarà ancora più propenso all’aggressione,” spiega Kuleba. Un argomento sottovalutato dai partner europei dell’Ucraina. “Nel caso in cui la costruzione sarà completata, non ci sono dubbi che la Russia userà il progetto come strumento per spingere i suoi interessi geopolitici, anche nell’ambito del formato Normandia e nel Gruppo di contatto trilaterale. È una minaccia alla sicurezza di tutta l’Europa,” dichiarò il Ministro degli affari esteri ucraino.

https://uacrisis.org/it/costruzione-nord-stream-2-ucraina-contraria

L’Ucraina dunque ha molto a che fare con il Nord Stream 2 che, a regime, porterebbe per la prima volta la totalità di gas russo destinato all’Ue fuori dai gasdotti che passano sul suo territorio azzerando i suoi ricavi. Il presidente Zelenzky, prima della guerra, aveva espresso forte contrarietà alla scelta della Germania di sostenere il progetto.

Nord Stream 2 offrirebbe un’alternativa al vecchio gasdotto ucraino che secondo Gazprom necessita di lavori di rinnovamento, farebbe ridurre i costi risparmiando sulle tasse di transito pagate all’Ucraina ed evitare episodi come i tagli del 2006 e nel 2009 per controversie sui prezzi e sui pagamenti tra Mosca e Kiev.

L’Europa è un mercato chiave per Gazprom, le vendite supportano il bilancio del governo russo. (L’Europa dal canto suo ha bisogno di gas perché sta sostituendo centrali a carbone e nucleari dismesse prima che le fonti di energia rinnovabile come l’eolico e il solare siano pronte).  Appare chiaro che l’Europa ha bisogno del gas russo quanto Gazprom ha bisogno del mercato europeo, un’interdipendenza che potrebbe spiegare perché Mosca, secondo molti analisti, la Russia non interromperà le forniture all’Europa anche se il conflitto in Ucraina si intensificasse.

Per molto tempo, come abbiamo visto, l’Ucraina è stata il corridoio principale per il trasferimento del gas sovietico e poi russo e dell’Asia centrale a numerosi stati europei. L’attuale utilizzo di questa capacità è molto inferiore rispetto a un decennio prima a causa del completamento del primo gasdotto Nord Stream nel 2012, della crescente introduzione di risorse energetiche rinnovabili e dell’attuale recessione economica; tuttavia, gli oleodotti e le stazioni di compressione dell’Ucraina sono ancora pronti per essere utilizzati e hanno una capacità significativa oltre alla semplice fornitura di gas russo o turkmeno all’UE[7].

Una parte significativa dell’infrastruttura del gas ucraino sono gli enormi impianti di stoccaggio del gas sotterranei controllati dal paese. Le capacità ucraine di stoccaggio di gas naturale, utilizzate solo in parte, ammontano a oltre 31 miliardi di metri cubi. Se sfruttata appieno, l’Ucraina potrebbe ipoteticamente aggiungere quasi un terzo ai circa 100 miliardi di metri cubi di spazio di archiviazione che gli Stati membri dell’UE detengono attualmente nel loro insieme. Pertanto, non sorprende che la società di consulenza energetica Wood Mackenzie abbia recentemente suggerito che l’Ucraina detiene la chiave per la crisi di stoccaggio della corrente di gas in Europa. A causa della pandemia di COVID-19, i prezzi mondiali del gas sono crollati, ma gli impianti di stoccaggio dell’UE non dispongono di spazio sufficiente per sfruttare appieno la situazione. Per alleviare le preoccupazioni straniere sugli investimenti in Ucraina, il Paese ha adottato alla fine del 2019 alcuni emendamenti alle leggi e alle direttive pertinenti: modifiche normative che dovrebbero rendere più facile per le aziende straniere utilizzare la capacità di stoccaggio disponibile. In risposta, durante i primi nove mesi del 2020, le società energetiche straniere hanno pompato 7,9 miliardi di metri cubi di gas in Ucraina per lo stoccaggio, una quantità molte volte superiore al volume di gas estero immagazzinato in Ucraina durante l’intero anno 2019.

L’idrogeno è un altro nuovo orizzonte per l’industria energetica sottosviluppata dell’Ucraina. Oggi, varie società di distribuzione del gas stanno esaminando le capacità dei gasdotti ucraini con la speranza di convertire alcune delle infrastrutture esistenti per fornire idrogeno ai propri clienti in futuro. L’UE ha individuato nell’Ucraina un partner prioritario per la futura collaborazione nell’uso dell’idrogeno per migliorare l’approvvigionamento energetico e la sicurezza dell’Unione.

Ora che la guerra è arrivata come si ricompongono gli interessi in gioco? Quanto bastano i 625 miliardi di valuta pregiata accumulata da Putin in questi anni a mantenere in piedi un’economia colpita dalle sanzioni? I prossimi mesi con il picco di gas e energia richiesto da case e fabbriche europee come influenzeranno le strategie di Bruxelles? Gli europei sono perfettamente consapevoli, lo dice esplicitamente una relazione di politica estera del 2018: «Nella storia recente nessun altro stato ha usato la sua ricchezza energetica per perseguire un’agenda offensiva, ed è stato sospettato di farlo, tanto quanto la Russia».

La ripresa del Nord Stream 2 potrebbe essere la carta da giocare? In generale leggere in filigrana gli interessi geostrategici del gas e saperli usare come tiranti può essere una valida leva per rimettere al più presto Putin al tavolo di una trattativa di pace.​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

L’invasione russa dell’Ucraina è un atto che inaspettatamente ha sconvolto l’intero mondo, una superpotenza che invade, con l’esercito, uno Stato confinante per sottometterlo e annetterne parte del territorio, sembra totalmente estraneo agli equilibri consolidati nel mondo post seconda guerra mondiale. Ma quali sono quindi le ragioni di questa azione russa? Si è molto parlato della questione dell’allargamento ad Est della Nato che comporta rischi per la sicurezza russa, elemento sicuramente rilevante, ma che non sembra il motivo scatenante del conflitto, anche perché è bene ricordare che già oggi la Nato è a ridosso del territorio russo. La propaganda russa ha molto insistito sulla tutela delle minoranze del Donbass, ma anche questa ipotesi non sembra giustificare il conflitto, soprattutto perché tutti i dati ufficiali fanno emergere come il numero di morti nel conflitto per il Donbass è progressivamente diminuito dal 2014 ad oggi, divenendo negli anni un numero estremamente limitato da entrambe le parti. La verità è che da qualunque punto di vista la si veda, la crisi Ucraina va letta anche nell’ottica di interessi economici da parte della Russia sull’Ucraina, che oltre ad essere ricchissima di materie prime e di giacimenti di gas rappresenta uno degli hub più importanti di distribuzione del gas russo.

L’Ucraina è ricca di materie prime, ha giacimenti di gas molto cospicui tali che se fruttati appieno avrebbero spiazzato l’esportazione di gas della Russia all’Occidente e considerando che la Russia vive praticamente solo di esportazione di gas possiamo immaginare come rappresenti un serio pericolo per l’economia russa, tanto da poter rappresentare per Putin una guerra di sopravvivenza.

[1] https://auto.hwupgrade.it/news/mercato-green/european-lithium-si-assicura-due-enormi-giacimenti-di-litio-in-ucraina-cosi-l-europa-non-dipendera-dall-asia_102297.html

[2] https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/dietro-39-invasione-dell-39-ucraina-ci-sono-questioni-energetiche-304359.htm

[3] https://hir.harvard.edu/ukraines-low-carbon-gas-potential-and-the-eu/?fbclid=IwAR1AMqK-Qc_cge_A-6EQrd9ujuW6QwJoBkX1pciHk53oeZcVukj4f6maU-w

[4] https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/Nord-Stream-2-scheda-gasdotto-russia-germania-gas-5383f8cc-f5e3-40da-ad03-7240113b6a4e.html

[5] https://hir.harvard.edu/ukraines-low-carbon-gas-potential-and-the-eu/?fbclid=IwAR1AMqK-Qc_cge_A-6EQrd9ujuW6QwJoBkX1pciHk53oeZcVukj4f6maU-w

[6] https://uacrisis.org/it/costruzione-nord-stream-2-ucraina-contraria

[7] https://hir.harvard.edu/ukraine-energy-reserves/?fbclid=IwAR3fzFF-2Ds-VTOZLPz-5m_kN9_vluhnZCKU_xOUW8_8t2xHLmQskwryWSY

25 anni fa Biden aveva detto che se la NATO si fosse allargata tutti avrebbero avuto dei seri problemi, quindi sommando più cose o riflessioni si poteva evitare il conflitto. Ora Putin annetterà il Dombass e tutto quello che sta sotto il fiume Dnepr, un confine naturale strategico, non era meglio ascoltarlo quando dava degli avvertimenti? E l’ Europa è stata sempre assente e miope in tutto quello che ha fatto. Ora ne pagheremo le conseguenze. Conseguenze volute soprattutto dall’America guerrafondaia.

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